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MARIA MONTESSORI (1): educare i bambini per costruire un mondo migliore
In occasione del suo compleanno, vedremo una serie di post dedicati a Maria Montessori, pedagogista e neuropsichiatra italiana famosa in tutto il mondo. In questo post parliamo della vita di Maria e delle sue idee; nei prossimi post troverete:
Il metodo educativo Montessori
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/08/maria-montessori-2-il-metodo-educativo.html
La vita pratica del bambino
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/08/maria-montessori-3-la-vita-pratica.html
La casa Montessori stanza per stanza
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/08/maria-montessori-4-la-casa.html
Lo spazio gioco Montessori
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/09/maria-montessori-5-lo-spazio-gioco.html
Giocattoli Montessori: realtà o marketing?
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/09/maria-montessori-6-i-giocattoli.html
...
Chi era Maria Montessori?
Per chi di noi la ricorda, potrebbe essere la “signora in viola”, sulla banconota da mille lire:
Per i giovani di oggi, potrebbe essere un nome tra tanti, che attira l' attenzione nella pubblicità di qualche giocattolo, in un video su Youtube, o in un post su Instagram.
Ma chi era
davvero Maria Montessori?
Maria nacque a Chiaravalle, un piccolo paese nelle Marche, esattamente 154 anni fa,
il 31 Agosto del 1870. Era nata in una famiglia medio borghese, da genitori
abbastanza “progressisti” per l'epoca, che credevano nell’importanza
dello studio e della cultura.
Dopo pochi anni, la sua famiglia si trasferì a Roma, per seguire il lavoro del padre, che era
funzionario presso il Ministero delle finanze.
Da ragazzina, Maria
frequentò un Istituto tecnico femminile, e si diplomò: era già molto per
l’epoca, considerando che molte bambine non arrivavano neanche alle scuole
medie.
Terminate le
superiori, tutti pensavano che Maria avrebbe terminato i suoi studi: era
impensabile per una donna proseguire oltre.
Il padre le
consigliò di cercare lavoro come maestra.
Ma no, Maria
aveva altri progetti: voleva diventare medico.
Maria fece
domanda per iscriversi alla facoltà di Medicina, ma le fu negato, perché aveva
frequentato un istituto tecnico (all’epoca, si accedeva alla facoltà di
medicina solo tramite il liceo classico).
Questa era la
motivazione “ufficiale”, ma era chiaro che Maria era malvista, nell’ambiente
universitario.
Anche se vi erano
già stati alcuni casi in Italia di donne laureate, l’Università era considerato
un ambiente prettamente maschile.
Medicina in
particolare era considerata una facoltà assolutamente inadatta ad una donna,
troppo complessa, ricca di responsabilità, e anche in un certo senso
“scandalosa”, considerando gli studi che dovevano essere condotti sull’anatomia
umana.
Ma Maria non
demordeva. Scoprì che se si fosse iscritta alla facoltà di Scienze Naturali,
sarebbe stato possibile al terzo anno chiedere il trasferimento a Medicina. E
così fece.
Nel 1892, a 22
anni, Maria fu ammessa alla facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di
Roma.
Fu un’alunna
brillante, anche se il rapporto con i suoi compagni di corso non era idilliaco.
Era spesso oggetto di scherno, e doveva essere accompagnata a volte a lezione
dai suoi genitori. Era costretta ad esercitarsi in anatomia da sola, di notte,
perché era considerato inappropriato che una donna, si trovasse di fronte ad un
corpo nudo, ed in presenza di uomini.
Tuttavia, nel
1896, si laureò in medicina, con una tesi in neuropsichiatria. Fu la terza
donna in Italia a raggiungere questo titolo.
Suo padre era presente alla sua laurea, e testimoni descrissero che piangeva dalla gioia, per quanto era fiero di sua figlia.
Dopo la laurea,
Maria iniziò a lavorare nella clinica psichiatrica dell’ospedale,
interessandosi principalmente ai bambini definiti allora “oligofrenici”, o
“ritardati”.
Qui conobbe il
collega Giuseppe Montesano, con cui inizierà una storia di collaborazione
professionale, e di amore.
Nel 1898 Maria
scoprì di essere incinta di Giuseppe; una bella notizia, se non che, all’epoca,
questo significava la fine della carriera professionale, anche per quelle
pochissime donne che ne avessero mai iniziata una.
A quell’epoca,
l’unica soluzione accettabile per una donna nella situazione di Maria, era
quella di sposarsi, dare alla luce il bambino, e dedicarsi al ruolo di moglie e
di madre.
Ma la coppia
prese una decisione diversa, pur essendo all’epoca probabilmente molto
innamorati, tanto che si promisero di non sposarsi mai con nessun altro.
Decisero però di
non sposarsi neanche tra di loro, e di affidare il bambino, che chiamarono
Mario, ad una famiglia affidataria.
Non sappiamo le
ragioni precise per cui presero questa discussa decisione. Probabilmente
contribuì l’ostilità della famiglia di Giuseppe, che non voleva come nuora una
donna poco convenzionale come Maria, e anche il desiderio della stessa Maria di
continuare a lavorare, cosa già difficile all’epoca, ma considerata socialmente
inaccettabile, per una donna che fosse anche moglie e madre.
Maria rimase
comunque in contatto con suo figlio, il quale sapeva che Maria era la sua madre
biologica; recupereranno il loro rapporto soprattutto durante l’adolescenza di
Mario, e saranno uniti per il resto della vita. Mario la seguirà nei suoi
viaggi, e la sosterrà nel suo lavoro, fino alla sua morte.
Tornando alla
fine dell’800, nei suoi anni di lavoro presso la clinica psichiatrica, Maria si
appassionò sempre di più allo studio dei bambini disagiati, con patologie
psichiatriche, con ritardo cognitivo, o di apprendimento; patologie poco
studiate, all’epoca. Questi bambini erano chiamati spesso “imbecilli”, o
“idioti” (erano proprio i termini “ufficiali” con cui ci si rivolgeva a loro).
Questi bambini
erano considerati uno “scarto” della società, venivano internati in una sorta
di manicomi, per separarli dai bambini cosiddetti “normali”.
Molti di questi
bambini venivano da classi sociali povere, e da famiglie disagiate, spesso
avevano genitori alcolizzati. Maria fu tra i primi a sostenere pubblicamente
come l’educazione e l’ambiente in cui questi bambini crescevano, fosse la prima
causa della loro patologia, o comunque, la peggiorasse grandemente. Prima si
pensava che fosse un problema solo “genetico”, che questi bambini nascendo
figli di poveri, alcolizzati e criminali, non potevano far altro che diventare
poveri, alcolizzati e criminali a loro volta.
Era inutile
quindi cercare di educarli, ma era necessario più che altro isolarli dal resto
della società.
Nel 1900, Maria, insieme
al compagno Giuseppe Montesano, fondò una scuola per formare delle maestre
indirizzate a lavorare con i bambini con
problemi psichiatrici.
L’idea di Maria
era quella di lavorare con questi bambini con pazienza, con rispetto, cercando
di tirare fuori il meglio delle loro abilità, invece che considerarli solo
degli scarti della società.
Era anche
dell’idea che questi bambini non dovessero essere emarginati, ma integrati
nelle scuole “normali”.
Nel 1901 Maria
affronterà un altro momento difficile della sua vita personale, quando Giuseppe
deciderà di sposarsi con un'altra donna, contrariamente a quanto si erano
promessi. Scelse una moglie più “convenzionale”, che era gradita alla sua
famiglia.
Il loro sodalizio
anche professionale, naturalmente, si interruppe, ma entrambi continuarono le
loro carriere nell’ambito della neuropsichiatria infantile.
I risultati
raggiunti da Maria con i bambini “ritardati”, quelli che lei stessa a volte
definiva “i miei piccoli idioti”(!) erano stupefacenti: alcuni bambini impararono
a leggere e a scrivere meglio dei bambini che frequentavano le scuole per
bambini “normodotati”, attirando l’attenzione del pubblico, e delle
istituzioni. A questo punto Maria si chiese, perché i suoi bambini
raggiungevano risultati migliori dei bambini “normali”?
La pedagogia e le
case dei bambini
Fu quindi l’esperienza
con i bambini con bisogni speciali, che spinse Maria ad appassionarsi al
concetto di educazione di tutti i bambini, anche quelli “normali”.
Maria si chiese: cosa
c’è che non va nel nostro sistema educativo? Perché i bambini “normali” hanno
risultati peggiori, e sono meno motivati, di quelli con bisogni speciali?
Nel 1902, volle
iscriversi nuovamente all’Università, questa volta alla facoltà di Filosofia
(dove, all’epoca, si studiavano la Psicologia e la Pedagogia).
Si inserì nel
solco di un movimento pedagogico chiamato “attivismo”, che si poneva
l’obiettivo di rimettere al centro il bambino. Maria ne diventerà un esponente
di spicco.
Nel 1906, arrivò
la sua occasione: fu chiesto a Maria se volesse collaborare ad un progetto di
riqualificazione urbanistica di un quartiere popolare e degradato di Roma.
All’interno di
questo progetto, vi era l’idea di aprire quella che oggi chiameremmo una scuola
materna: una scuola per i bambini tra i 3 e i 6-7 anni, che, in quel quartiere,
trascorrevano spesso le giornate in casa da soli, o per strada, mentre i
genitori lavoravano.
Per togliere
questi bambini dalla strada, venne aperta nel 1907 quella che Maria chiamò “la casa
dei bambini”.
Qui, Maria potè
mettere in atto tutte le attività che aveva ideato, ed utilizzare i materiali
di studio e di gioco che aveva creato.
Invece che obbligare
i bambini a stare seduti fermi ed ascoltare il maestro, Maria lasciava i
bambini liberi di giocare ed esplorare.
I giocattoli e il
materiale didattico erano posizionati su dei tavolini bassi, dove i bambini
potessero esplorare da soli le varie attività, stimolando la loro naturale
curiosità.
Maria voleva creare un ambiente “a misura di bambino”, dove i piccoli
potessero mettersi alla prova, e tirare fuori il meglio di loro.
Per insegnare a
leggere e scrivere anche ai meno dotati, faceva scorrere le dita lungo delle
figurine di legno o di carta ruvida, che rappresentavano le lettere.
Aiutati dal
tatto, i bambini memorizzavano la forma delle lettere con facilità.
Le idee di Maria
erano innovative per l’epoca, e la sua casa dei bambini fu enormemente
apprezzata dalla piccola comunità del quartiere.
Fu in quel
momento che Maria capì quanto agire sull’infanzia, poteva cambiare le sorti di
un’intera comunità.
La casa dei
bambini ebbe così tanto successo, che già lo stesso anno le venne chiesto di aprirne
una seconda, e poi un’altra, e un’altra…
Maria dovette
formare altre maestre, perché non poteva più seguire tutte le case da sola.
Perfezionò la sua
teoria educativa, osservando i bambini che frequentavano le case. Come
apprendevano meglio? Cosa li interessava? Cosa li appassionava?
Nel 1909 pubblicò
“il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile”, un
testo che racchiudeva il risultato dei suoi studi osservazionali, e della sua
esperienza con i bambini.
Il suo metodo cominciò a farsi una reputazione, e aprirono diversi corsi per formare nuove maestre al metodo Montessori.
Tra il 1910 e il
1920 le teorie di Maria si diffusero in tutto il mondo. Aprirono scuole di
ispirazione Montessoriana in tutti i continenti, in particolare negli Stati
Uniti, dove il metodo era molto apprezzato.
Maria scriveva
libri, articoli scientifici, teneva corsi, partecipava a congressi
internazionali, spesso accompagnata dal figlio Mario.
Nonostante il
successo internazionale, e la nascita di diverse scuole anche in Italia, nel
nostro paese il metodo Montessori non era accettato da tutti, e non prendeva
piede con facilità, perché era ritenuto troppo poco convenzionale.
Maria decise di
trasferirsi a Barcellona, dove visse diversi anni, e aprì diverse scuole
Montessoriane.
Negli anni 1923 e
1924, in Italia era al potere il governo fascista di Benito Mussolini. Anche
attraverso l’aiuto del figlio Mario, che desiderava ritornare in patria, Maria
prese contatti con il governo, l’allora ministro dell’istruzione Gentile, e poi
con Mussolini stesso. Inizialmente il governo fascista sembrò entusiasta delle
idee della Montessori, giudicandola un buon esempio di cittadina italiana di
spicco nel suo campo, una sorta di “orgoglio nazionale”.
La richiamarono
quindi in patria, con il compito di aprire più scuole Montessoriane in Italia.
Il lavoro in
Italia, però, non proseguì come sperato: probabilmente, Mussolini capì che la
filosofia di Maria poco si sposava con la propria, e anche Maria capì che il
regime fascista non poteva condividere i suoi ideali di pace, uguaglianza e
libertà.
Negli anni 30,
Maria e il figlio furono quindi costretti all’esilio, tornando inizialmente in
Spagna, poi in Inghilterra, e in Olanda. Le scuole vennero chiuse.
In questi anni, in
un clima di sempre maggiore tensione in un’Europa che si avviava alla Seconda
Guerra Mondiale, Maria continuò a predicare la pace. Sosteneva che fosse
fondamentale, prima di tutto, lavorare sui bambini, per poter crescere degli
uomini e delle donne degni di questo nome, rispettosi del prossimo, e pacifici.
La Guerra e gli
ultimi anni di lavoro
Nel 1939, allo
scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Maria, allora sessantanovenne, si
trovava con il figlio in India, dove seguiva un corso di formazione per
insegnanti.
L’India, sotto il
controllo britannico, e l’Italia, si trovavano dalle due parti opposte del
conflitto. Gli Italiani in territori britannici, a quell’epoca, furono
“internati” in dei campi di prigionia/lavoro: questa sorte toccò anche a Mario,
mentre Maria fu risparmiata in considerazione della sua età, e forse della sua
fama.
Fortunatamente, un
anno dopo Mario fu rilasciato, e potè riunirsi alla madre, in occasione del suo
70esimo compleanno.
Negli anni della
Guerra, Maria ed il figlio rimasero in India, dove continuarono a studiare e a
lavorare con i bambini del luogo.
Solo nel 1946, al
termine della Guerra, fu loro permesso di ritornare in Europa. Continuarono a
viaggiare, formando insegnanti al loro metodo in tutta Europa, e in tutto il
mondo.
Per il suo lavoro
con i bambini e il suo attivismo a favore della pace, Maria fu nominata 3 volte
al premio Nobel per la pace, negli anni del primo Dopoguerra, ma senza mai
vincerlo.
Nel 1951, fu
invitata a parlare ad una conferenza della neo nata UNESCO (Organizzazione
delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura), in occasione
del terzo anniversario della stesura della dichiarazione universale dei diritti
dell’Uomo. Maria sostenne la necessità di estendere tale documento, a
comprendere anche il riconoscimento dei diritti fondamentali del bambino.
Nel 1952, Maria,
ormai 81enne, si trovava presso la casa di alcuni amici in Olanda, ma stava per
partire per un viaggio in Africa, nonostante le preoccupazioni del figlio, che
temeva fosse ormai troppo anziana per affrontare un viaggio così. Maria, però,
non voleva fermarsi. Quel pomeriggio, tuttavia, Maria avvertì un gran mal di
testa: alcune ore dopo si spense, in seguito ad un’emorragia cerebrale.
Fu celebrato il
suo funerale, e, come da sua richiesta, Maria venne seppellita nello stesso
luogo dove si trovava, nel momento in cui venne a mancare.
Ora riposa nel
piccolo cimitero di Noordwijik, nel Sud dell’Olanda.
La sua filosofia
educativa ha avviato un cambiamento epocale nella considerazione del bambino,
delle sue capacità, dei suoi diritti, e della sua educazione.
Il 20 Novembre
1959, 7 anni dopo la morte di Maria, l’Organizzazione delle Nazioni Unite
approverà a New York una nuova dichiarazione dei diritti universali del bambino,
una dichiarazione che è in vigore ancora oggi.
Il diritto all’educazione e al gioco, e alle cure speciali che possano rendersi necessarie in caso di malattia fisica o mentale, sono considerati tra i diritti universali del bambino (anche se, purtroppo, non tutti i bambini, ancora nel 2024, possono goderne). Ma speriamo che, un giorno, ciò sarà davvero realtà, per tutti i bambini del mondo.
“Se v'è per l'umanità una speranza di salvezza e di
aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si
costruisce l'uomo”
Maria Montessori
Nel prossimo post, parleremo di alcuni
elementi chiave dell’educazione secondo Maria Montessori:
https://pediatrachicca.blogspot.com/2024/08/maria-montessori-2-il-metodo-educativo.html
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Commenti
Bellissimo!
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