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Breve storia dell'abbronzatura e dell'importanza del colore della pelle
In questo post parliamo della storia dell’abbronzatura: oggi è vista generalmente come qualcosa di positivo, ed esteticamente bello (anche se la mentalità sta un po’ cambiando, soprattutto negli ultimi 15 anni).
Ma… è sempre stato così?
In effetti, no: infatti, le mode e i gusti
estetici cambiano drasticamente da un’epoca all’ altra.
Fino dall’antichità, era considerato bello (soprattutto
per le donne) avere la pelle molto chiara: da sempre, questa caratteristica era
stata correlata all’appartenenza a classi ricche e agiate. Infatti, le donne
ricche potevano passare le loro giornate all’interno di ville, palazzi…
differentemente dalle donne delle classi più povere, che dovevano lavorare anche
all’ aperto.
Nell’antico Egitto, era considerato normale
per gli uomini, che conducevano una vita all’aria aperta, andavano a
combattere, a caccia, a pesca… avere una carnagione più abbronzata. Le donne
delle classi agiate invece venivano sempre rappresentate con pelle più chiara
dei loro corrispettivi maschili.
Anche nell’antica Roma, la moda proponeva visi
candidi per le donne, con labbra e guance rosse. Per ottenere questo effetto,
erano disponibili numerosi cosmetici, contenenti sostanze sbiancanti quali
piombo, stagno… o escrementi di coccodrillo!
Anche nel Medioevo è proseguita la moda della
pelle chiara, sempre più strettamente vista come indice di nobiltà.
Le donne nobili venivano rappresentate sempre con una
pelle diafana, bianchissima.
Nei secoli successivi, molte donne hanno
rischiato la salute (se non la vita…) utilizzando pericolosi cosmetici a base
di piombo, per far apparire la propria pelle perfetta e chiarissima (ad
esempio, pare che ne facesse uso in prima persona la famosa regina Elisabetta I
d’Inghilterra).
Ancora nel 1700, la moda imponeva pelle
candida con guance e labbra rosate, sia agli uomini che alle donne.
Fino al 19esimo secolo, era comune per le donne benestanti indossare un
abbigliamento che le proteggesse dal sole, per mantenere la tanto agognata
pelle chiarissima anche nei mesi estivi.
E allora, via libera a maniche lunghe, scialli, cappellini e ombrellini parasole:
Purtroppo, la passione per la pelle chiara
andava ad assumere, soprattutto a partire dal 19esimo secolo, anche una forte
connotazione razziale.
Infatti, gli Europei “bianchi” si
contrapponevano ad altri popoli visti come “inferiori” (nella loro mentalità). Questo
era particolarmente sentito nei Paesi con vasti imperi coloniali, come l’Inghilterra….
La colonizzazione straniera porterà la moda
della pelle chiara vista come più “bella” e più “nobile” anche in paesi, come ad
esempio l’India, dove le persone hanno naturalmente una carnagione di fototipo
più scuro rispetto a quella Europea.
Il retaggio di questa cultura si può sentire
ancora oggi, ancora oggi infatti alcune persone ricercano, attraverso trucchi e
prodotti cosmetici, una pelle più chiara.
Il problema era molto sentito anche negli
Stati Uniti, patria di una larga fetta di popolazione di origine africana, che
usciva da secoli di schiavitù.
Il colore della pelle non era più una semplice
componente estetica, ma un forte elemento di differenziazione sociale, tra la “razza”
bianca (come veniva considerata all’epoca) privilegiata, e la “razza” nera
(ovviamente, al giorno d’oggi sappiamo che gli esseri umani appartengono tutti
alla stessa razza… quella umana! indipendentemente dalla quantità di melanina
che hanno nella loro pelle).
Nasceva addirittura un sentimento definito “colorismo”,
ovvero, anche chi era di pelle scura, era considerato più “bello” se era di
colore più chiaro (ad esempio perché era nato da genitori mixed, uno
bianco e uno nero).
Retaggi di questa cultura si trascinano fino
al giorno d’oggi, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti.
Questo discorso esula dall’argomento
strettamente di “abbronzatura”, ma mi sembrava importante ricordare le profonde
implicazioni – non solo estetiche- che ha il colore della pelle nella nostra
cultura.
Nel 1800, era stata coniata addirittura l’espressione “sangue blu”, per definire i reali e i nobili: essi, infatti, erano caratterizzati da una carnagione chiarissima, diafana, che lasciava intravedere le vene bluastre sottopelle.
Questo può farci riflettere su quanto strettamente correlate siano la sfumatura del colore della pelle e il valore sociale della persona, nella nostra cultura.
E poi… cosa è cambiato??
Cosa ha sdradicato
secoli e secoli di predilezione verso una pelle chiarissima?
A partire dagli anni ’20 del Novecento, dopo
la prima guerra mondiale, troviamo una società che cambia, non più legata ad
alcuni dei modelli che avevamo visto nelle epoche passate.
Abbiamo una società che non è più fatta di
poveri contadini/operai/manovali e nobili, ma è fatta principalmente di borghesi,
più o meno abbienti.
Borghesi che, spesso, lavorano all’interno di
una fabbrica, o di un ufficio…
E il sole, quando lo vedono?
Lo vedono d’estate, in vacanza, al mare.
In questa epoca, infatti, la possibilità di
trascorrere le vacanze estive in prestigiose località di villeggiatura,
comincia a diventare uno status-symbol, indice di ricchezza.
Complici anche alcune figure chiave, come la
nota stilista Coco Chanel, che amava passare le sue vacanze sulla riviera francese
(Costa Azzurra), mostrando orgogliosamente, per la prima volta nella storia, la
propria abbronzatura.
Fu così che, in particolare dagli anni ’30 in
avanti, la pelle abbronzata comincia a diventare uno status symbol per i “privilegiati”
europei e americani bianchi: un indice di ricchezza, in quanto significava che
ci si poteva permettere di uscire dall’ufficio, e trascorrere le proprie
vacanze al mare.
L’assurdità di ciò è che, invece, per tutte le
etnie “non bianche-caucasiche”, avere la pelle scura era ancora considerato un
elemento negativo!
Quindi, che dire??
Tutto cambia, niente cambia…
Il colore della pelle veniva ancora visto come
elemento di distinzione sociale ed economica, solo in modo diverso da prima.
Insomma,
“nulla di nuovo sotto il sole” come recita una famosa frase biblica (in
questo caso, nel vero senso della parola!).
Nel Novecento vediamo quindi una sempre
maggiore cultura dell’abbronzatura, che veniva considerata bella, moderna,
attraente, indice di ricchezza, e anche salutare.
Un vero e proprio segno distintivo culturale
di un’epoca.
Tuttavia, i medici e i dermatologi, a partire
dagli anni 60 e 70, cominciano a lanciare l’allarme: i tumori della pelle sono
in aumento.
Sarà mica correlato all’esposizione
incontrollata al sole??
Purtroppo, modificare un comportamento che ha ormai una così forte connotazione sociale e modaiola, non è facile (ricordiamo che apparteniamo allo stesso genere umano che era disposto a spalmarsi il piombo sulla faccia, per apparire più bello…).
Negli anni 80 e 90 fino ai primi anni 2000 (ovvero
quando sono cresciuti molti di noi) l’abbronzatura è ancora sulla cresta dell’onda,
e cominciano a diffondersi addirittura “lettini” per l’abbronzatura
artificiali, per poter mimare l’aspetto “abbronzato” delle vacanze, anche quando
si è ancora a casa, in ufficio.
Ricordo ancora come, vedere i volti arrossati
e magari anche un po’ spellati dei bambini d’estate, era considerata tutta
salute;
per adolescenti e adulti, sfoggiare una
carnagione abbronzata era un must per essere alla moda.
Laddove non si arrivava con il sole, si poteva
arrivare con lettini solari, e i prodotti auto abbronzanti.
La pelle dorata è così amata che molte celebrità di pelle chiara, la scuriscono fino a sembrare quasi di un’altra etnia (una scelta che ha destato opinioni contrastanti soprattutto negli Stati Uniti, tacciata a volte di “appropriazione culturale”).
Fortunatamente, negli ultimi decenni vi è una
maggiore sensibilizzazione nei confronti, da un lato, dell’inclusione di tutti
i tipi di pelle dentro un canone di “bellezza” più ampio, sia, dall’altro lato,
nei confronti dei danni derivati dall’esposizione incontrollata al sole.
Per questa ragione, in tutto il mondo vi è una
sempre crescente attenzione verso la protezione dagli effetti dannosi del sole.
“Purtroppo”, se così si può dire, questo
movimento è generato non solo dall’interesse per la salute, ma anche (come
sempre…) per l’estetica: infatti, è ormai noto che l’esposizione al sole
costituisce il principale fattore di rischio che velocizza l’invecchiamento
cutaneo.
Per concludere, quale messaggio vorrei
lasciare con questa chiacchierata?
Vorrei che potessimo riflettere sul profondo
valore estetico, culturale, sociale, che il colore della pelle ha sempre avuto,
nella storia dell’umanità;
e come l’essere umano sia purtroppo disposto a
tutto, anche a danneggiare la propria stessa salute, pur di sentirsi bello,
accettato, ammirato.
Vorrei che noi adulti, consci di questi
meccanismi mentali, riuscissimo a trasmettere ai nostri bambini dei valori
diversi, e a farli sentire a proprio agio nella propria pelle… qualsiasi essa sia.
Insegnare ai nostri bambini che l’essere umano può avere tantissime sfumature di colore, in base alla quantità di melanina e di altri pigmenti che la sua pelle contiene, e che sono tutte bellissime.
Che non è necessario modificarsi, esporsi a pericoli e a danni per la propria salute, per poter essere accettati.
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